A distanza di oltre trent’anni possiamo ammetterlo tranquillamente: Ivan Lendl non era simpatico ai tifosi ma anche a molti dei suoi colleghi.
Tuttavia per alcuni anni, dopo la vittoria in recupero al Roland Garros contro McEnroe nel 1984, il suo primo successo Slam, ha dominato il tennis.
Quando lui incominciò a vincere, Borg aveva già smesso da anni, McEnroe vendicò la sua sconfitta a Parigi dominando nello stesso anno Wimbledon e Flushing Meadows per poi spegnersi lentamente, Connors aveva qualche annetto e nel diritto la sua arma spuntata per essere ancora pericoloso. Becker, Wilander ed Edberg erano ancora troppo giovani e discontinui per essere una vera minaccia.
Dopo il successo contro Supermac alla quinta finale Slam, arrivarono altri sette titoli Major – due in Australia, due al Roland Garros, tre a Flushing Meadows – ma il muro di Wimbledon rimase invalicabile.
Perse due finali, quelle del 1986 e del 1987. La prima con Becker, il bambino prodigio che realizzò a nemmeno 18 anni quello che per lui rimase una chimera. La seconda contro Cash che dopo la vittoria si arrampicò sulle tribune rendendo inutili i rigidi protocolli inglesi sempre uguali nel tempo.
Furono sconfitte nette. Bruciarono come ferite da taglio perché arrivarono quando era numero 1 incontrastato della classifica mondiale. Provò allora una terapia d’urto con il suo coach erbivoro Tony Roche.
Ma gli allenamenti mirati non bastarono. Nel 1989 perse da Becker, nel 1990 fu sconfitto da Edberg sempre in semifinale, senza mai aver dato l’impressione di poter vincere per davvero. Nei suoi anni d’oro, quindi, il sogno di alzare la Coppa dei Championships fu solo accarezzato.