Ci sono voluti 144 anni perché un italiano tracciasse la strada. Troppi se si pensa ai cugini tedeschi, spagnoli, francesi che in quasi 150 anni di storia di Wimbledon qualche titolo lo hanno fatto loro. Gli Stati Uniti e l’Australia, storicamente, appartengono ad un’altra categoria anche se oggi arrancano e il loro orizzonte appare a tinte fosche.
Il nostro non è mai stato così limpido e non solo per merito di Matteo Berrettini che ieri ha giocato un gran match. Ha fatto il meglio che poteva fare, è quasi andato oltre i suoi limiti attuali che sicuramente saranno superati nei prossimi anni. Un tassello alla volta, torneo dopo torneo.
La distanza che s’è vista in campo non è stata solo tecnica ma ha riguardato la capacità di Nole di alzare l’asticella quando ne aveva bisogno. Non ha mai sbagliato una palla importante, di quelle che fanno la differenza.
L’illusione per Matteo è durata poco, giusto il giro del primo set che ha dimostrato presenza e personalità nella capacità di recuperare il parziale in extremis e dominare il tie-break.
Nole che aveva studiato insieme al suo team i punti deboli di Berrettini ha reagito immediatamente. Ha risposto da par suo, ha cercato il rovescio in slice, lo ha fatto muovere sul lato del diritto per metterlo fuori posizione.
Quello che Berrettini ha fatto nelle ultime tre settimane – non dimentichiamo la vittoria al Queen’s – ha fatto in parte dimenticare ciò che il nostro movimento ha mostrato e dimostrato con la nuova stagione.
Le vittorie di Sonego e Sinner, le incredibili prestazioni di Musetti, non solo i quarti ad Acapulco ma soprattutto i primi due set vinti con Djokovic a Parigi, dimostrano che c’è una scia lunga di tennisti giovani e giovanissimi, ai quali forse se ne aggiungeranno altri, che ci possono senz’altro far dire che il movimento italiano è, insieme al russo e al canadese, quello che ha gettato le basi migliori.
Credo che i nostri tuttavia negli anni faranno ancora meglio. Mi sembra che a differenza di un tempo esiste un gruppo di atleti, dirigenti, tecnici che sanno fare team, che si scambiano informazioni, che uniscono dati e competenze.
C’è insomma una voglia matta di arrivare e di stupire che non si era mai vista. Gli Slam nei prossimi anni potrebbero arrivare ma in un sport così competitivo e capace di muovere tantissimi interessi non possiamo purtroppo dare nulla di veramente scontato.
Abbiamo tennisti capaci di giocare su tutte le superfici e questo dovrebbe ampliare il nostro ventaglio di possibilità. In questo momento il solo Matteo è competitivo per vincere i tornei maggiori, per gli altri c’è ancora della strada più o meno lunga da percorrere. Il percorso comunque è stata tracciato da anni. Ancora un po’ di duro lavoro e poi arriverà il momento del raccolto. La buona stagione, che durerà a lungo, credo non sia così lontana.