Avevamo sperato che all’edizione dell’Atp Finals che si gioca per la prima volta in Italia potessimo vedere in contemporanea, in gironi diversi, Matteo Berrettini e Jannik Sinner.
Dopo la vittoria al Quenn’s e la finale a Wimbledon precedute dal successo di Belgrado e l’ultimo atto nel Masters 1000 di Madrid, il romano si era conquistato sul campo e con tutti gli onori la possibilità di giocare per la seconda volta in tre anni, unico italiano nella storia, le Atp Finals, anche se l’ufficializzazione è arrivata poche settimane fa.
La seconda parte di stagione non è stata brillante come la prima. Dopo qualche problema fisico anche se non così grave come quello di inizio anno subito in Australia, alcune partite perse un po’ a sorpresa – penso soprattutto alle sconfitte con Fritz e con Alcaraz –, la delusione di non aver potuto far parte della squadra olimpica, speravamo di vedere Matteo nella settimana di Torino come protagonista.
Due anni fa arrivò a Londra come ottavo, sicuramente a sorpresa dopo una stagione nella quale si fece conoscere con una cavalcata straripante. Aveva ancora poca consapevolezza dei suoi mezzi, non conosceva a fondo tutte le potenzialità, era ancora troppo giovane come tennista.
Capitò nel girone insieme a Djokovic con il quale fece tre game, con Federer con il quale giocò un buon primo set e vinse il match contro Thiem a risultato acquisito. Matteo era già fuori, Dominic qualificato. Fu fagocitato dall’evento. Non fece in tempo ad ambientarsi.
Fu tutto troppo veloce. Incontrò l’esperienza dei due grandi vecchi e il giovane che si concesse anche un po’ di pausa prima di giocare la semifinale contro Zverev. La sua vittoria, cioè la partecipazione, l’aveva già ottenuta. All’inizio dell’anno non era nei primi cinquanta. Aveva fatto molto più del suo dovere.
Quest’anno era diverso e non solo perché si gioca a Torino. In questi due anni il romano è cresciuto in credenziali, aspettative, forza mentale e valore tecnico. E’ capitato in un girone di ferro, non c’è bisogno di essere partigiani per dire che era il più difficile. Medvedev, Zverev e Hurkacz rappresentano tre giocatori diversi tra loro ma molto difficili da battere, compreso il polacco anche se ricordiamo come è finita a Wimbledon.
Con Sascha si stava giocando la partita più difficile, quella da dentro o fuori, considerando Medvedev ancora di una mezza spanna superiore. Con il tedesco ha lottato nei propri game di servizio, come un leone li ha saputi difendere molto bene e alla fine della prima frazione le prime palle per chiudere il set sono spettate a lui.
Perso il set era già pronto per ricominciare la battaglia ma è arrivato il dolore lancinante ai muscoli addominali come una stilettata assolutamente inaspettata. La consapevolezza che il torneo finiva in quel momento e l’impossibilità a continuare si sono concretizzate in pochissimi secondi e si sono unite al dolore e al pianto.
Lo sostituirà Sinner che per un po’ di sfortuna ma anche per distrazione non è entrato negli otto quando ormai la tavolata di Torino sembrava imbandita con la presenza di due commensali italiani. Li vedremo sì entrambi, ma uno in sostituzione dell’altro. Non era quello che ci aspettavamo, non era quello che si aspettava Jannik. Speriamo che l’altoatesino abbia la forza di giocare in modo consapevole, di non sentirsi un ospite non desiderato. Potrebbe, anche se è molto difficile, giocare un ruolo importante nel girone che è indirizzato ma non ancora deciso. Aspettando di entrare tra gli otto Maestri di diritto non possiamo che augurargli di giocare sereno e consapevole della sua forza anche se ha appena compiuto vent’anni.