Come avrebbe potuto il player che non aveva mai disputato un torneo Slam, costretto dalla classifica molto alta a giocare in carriera quasi esclusivamente Futures e Challenger, e che ha scoperto probabilmente solo durante queste due settimane i suoi valori tecnici e agonistici che sembrerebbero essere di gran pregio, battere il cannibale del tennis – 27 finali Slam in carriera con 17 successi fino al giorno della semifinale – che al Melbourne Park nelle otto semifinali disputate aveva sempre vinto?
Non avrebbe potuto. Successo di Djokovic in meno di due ore con un 6-3 6-4 6-2 che non lascia spazio ad equivoci. Tuttavia il lungo applauso che ha accompagnato Karatsev quando ha lasciato il palcoscenico a Djokovic la dice lunga su quanto la sua impresa abbia lasciato il segno e abbia coinvolto emotivamente il pubblico. Esisteva un grande divario in termini tecnici, agonistici e mentali e si è visto, ma Aslan ha avuto il merito di provare a rimanere in partita e a reagire ai momenti di sconforto che non possono non prendere quando l’avversario è chiaramente più forte.
Il momento migliore per il moscovita, perso il primo set per 6-3 dopo un illusorio parziale di 3-3, che maggiormente ha entusiasmato il pubblico tornato sugli spalti dopo cinque giorni nei quali gli era stato vietato l’ingresso per motivi di tutela alla salute pubblica, è venuto quando stava cadendo nel burrone. Sotto 5-1, grazie anche a qualche errore di troppo di Nole e ad alcune sue chiusure con palle velocissime e piatte che abbiamo imparato a conoscere in questi giorni, si è riportato a ridosso con due chance per arrivare in parità. Novak le ha annullate e ha vinto il set per 6-4. L’equilibrio si è rotto definitivamente nel terzo set sul 2-2, un break a testa, quando il serbo ha accelerato senza dare spazio a rimpianti e rimonte. I quattro game vinti consecutivamente sono stati un pass senza attenuanti per la finale, la nona al Melbourne Park.