Il maiorchino vince al Roland Garros il suo tredicesimo titolo. Cento vittorie dalla prima nel 2005 contro il tedesco Burgsmüller.
Potrebbe risultare difficile, per chi non si fosse addormentato per un lungo sonno iniziato a marzo e durato fino ad agosto, immaginare Nadal come migliore tennista del mese di ottobre, periodo solitamente dedicato al veloce indoor dei tornei europei e asiatici. La pandemia ci ha costretti a regolare il nostro orologio sociale a ritmi di vita differenti da quelli ai quali eravamo abituati, a pianificare le nostre attività in maniera diversa.
Il tennis non ha fatto eccezione e dopo un periodo di sosta forzata di oltre cinque mesi è tornato con un calendario che ha posticipato in autunno alcuni eventi estivi. Roma e Parigi in primis hanno dovuto spostare in avanti le lancette del loro orologio di alcuni mesi e abituarsi ad un clima irreale sugli spalti – al Foro Italico erano presenti solo mille spettatori negli ultimi due giorni – pur di evitare l’annullamento del loro torneo come ha fatto Wimbledon. I tennisti sono stati costretti ad accettare le nuove regole che si basano sulla prevenzione e sulla salute pubblica.
Nadal è il player delle giornate di sole e di vento, del caldo non ancora torrido, delle partite giocate sui campi in terra rossa a Monte Carlo, Barcellona, Roma ma soprattutto Parigi. Il Roland Garros, da quando ci mise piede per la prima volta nel 2005 divenne il suo vero campo di battaglia, ancor più di quanto fu per Borg, Lendl, Wilander e Kuerten. Ci arrivò da favorito dopo le vittorie sul rosso di Monte Carlo, Barcellona e Roma anche se era il numero 4 del seeding. Vinse sui campi di Bois de Boulogne sconfiggendo ilsuo coetaneo Gasquet, sul quale fortissime erano le aspettative dei francesi da quando all’età di nove anni gli avevano dedicato la copertina di Tennis Magazine, battendo Federer, testa di serie n°1 che dal 2003 aveva incominciato a vincere sugli amatissimi prati di Church Road e in finale l’argentino Puerta.
Il 5 giugno del 2005, Rafa aveva compiuto 19 anni da due giorni, iniziò per il tennis sulla terra rossa una nuova epoca: dodici vittorie al Roland Garros fino al 2019. Alla prima, come detto, ebbe la meglio su Puerta, sconfisse Federer quattro volte, nel 2008 lasciandogli quattro game, si prese la rivincita su Soderling che nel 2009 sorprese il mondo del tennis, batté due volte Djokovic sempre in quattro set, ma anche il suo amico Ferrer e Wawrinka. Nel 2018 e nel 2019 ebbe la meglio abbastanza nettamente di Thiem che molti considerano il suo erede sul rosso.
Gli unici buchi neri di un curriculum quasi immacolato risalgono al 2009 quando fu battuto, come ho ricordato, da Soderling e al 2015 quando Djokovic gli inflisse la sconfitta più cocente, quella in tre set. Nel 2016 fu costretto al ritiro per infortunio.
Da quando Nadal durante il lock-down ha saputo che lo Slam al quale per caratteristiche tecniche e facilità di vittoria tiene maggiormente si sarebbe disputato dal 27 settembre all’11 ottobre, ha rimescolato le carte per farsi trovare in forma il giorno della eventuale finale. Ha scelto di non partecipare alla stagione sul cemento statunitense – non proprio un sacrificio da poco, visto che l’anno scorso fu lui a trionfare a Flushing Meadows su un Medvedev in rimonta – mentre ha giocato gli Internazionali d’Italia, dove ha perso ai quarti di finale contro Schwartzman, come unico banco di prova per il Roland Garros. A Parigi è arrivato con pochissimo tennis nelle gambe ma con la convinzione, quella ce l’ha da quando zio Toni gli regalò una racchetta e si occupò della sua crescita sportiva e umana, di saper esprimere nel miglior modo la sua esuberanza tennistica che ha affinato nel tempo con i duri allenamenti ai quali si è sottoposto.
Non più, non solo quindi rotazioni da fondo a sfiancare l’avversario ma che alla lunga finivano per sfinire anche lui – lo testimoniano i diversi malanni muscolari e articolari che lo hanno spesso costretto a fermarsi – ma la necessità di chiudere lo scambio appena crea l’occasione grazie ad un servizio che non è più solo una rimessa in gioco, i piedi molto più vicini alla riga di fondo, maggiori discese a rete sfruttando tocco e soprattutto senso della posizione che aveva come dote fin da giovanissimo, e un rovescio che non utilizza solo come strumento di difesa. Il Nadal 2.0 rispetto alla versione degli inizi ha accorciato i tempi dei suoi match a vantaggio dello spettacolo e del suo fisico che negli ultimi due anni ha sofferto meno.
I primi turni negli Slam, intendendo almeno la prima settimana, sono per lui da sempre una formalità. I match veri iniziano almeno agli ottavi di finale, spesso ai quarti, qualche volta mai. In quello che non doveva essere il suo torneo perché giocato a ottobre, con il freddo e palline poco adatte, Rafa ha lasciato diciannove game ai suoi avversari durante i primi tre incontri, quattro a Sebastian Korda, figlio di Petr agli ottavi. Nei quarti e in semifinale ha giocato gli unici tie-break dell’intero torneo, contro Sinner che è stato l’unico a giocargli alla pari per i primi due set, e con Schwartzman dominato per 7 punti a 0.
Nella finale con Djokovic, nessuna partita persa sul campo fino ad allora nel 2020, ha giocato il match perfetto: palle diverse per angolazione, velocità e altezza hanno reso l’incontro impossibile per il serbo che non ha mai trovato il modo per controbattere alle strategie vincenti di Rafa. I primi due set sono scivolati via come una saponetta bagnata. Nel terzo Nole solo in alcuni giochi, come ad esempio quando ha strappato il servizio al maiorchino, ha trovato maggiore incisività e alcuni punti vincenti ma è stato poco più di un tempo breve volato via appena Rafa ha ripreso a macinare il suo gioco senza punti deboli.
La vittoria di Rafa contro Nole, che con il ventesimo titolo Slam ha pareggiato i conti con Roger, è stata la centesima al Roland Garros. Fra pochi mesi ci sarà la possibilità per il maiorchino di allungare. A Parigi non toccherà certo a Federer fermarlo. Vedremo se qualche giovane della next-gen o quasi saprà correre più velocemente degli altri o se Thiem, a oggi l’unico possibile alter ego di Nadal sul rosso, saprà fare i due passi che lo porteranno ad affiancare e poi a superare Rafa. Battere Nadal sulla terra battuta non significa solo sconfiggerlo sul campo ma togliersi dalle spalle, durante la preparazione del match, la pesantissima zavorra che chiunque si porta dietro quando deve affrontare il maiorchino.
Leggi anche Nadal vince il tredicesimo titolo al Roland Garros 2020