Da oggi Lorenzo Musetti si avvicina al tennis che conta. In una settimana, grazie al successo ottenuto nella finale di Amburgo che quasi tutti davano segnata nel risultato contro il giocatore dell’anno Carlos Alcaraz, ha dimezzato il proprio ranking – da 62 a 31 – e ha dimostrato che il suo gioco complesso quando è ispirato è difficile da controbattere.
Non è bastata la foga di Carlitos che ha avuto in campo un atteggiamento che è andato oltre le righe: pugnetti, faccia tra l’irridente e lo stupefatto, continui richiami al pubblico, un feeling continuo con il suo team e urletti che se continueranno nel tempo finiranno per allontanargli il pubblico perché non sono simpatici.
A onor del vero lo spagnolo ha pure subito un torto nel secondo set – doppio rimbalzo – che l’arbitro non ha visto e per il quale si è lamentato senza eccedere considerata l’importanza del punto. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se lo stesso episodio fosse successo a Kyrgios o a qualche altro bed boy del tennis mondiale.
Lorenzo ha consumato le sue energie solo nel gioco, attento a non disperderle, concentrato su ogni colpo. Non è stato sempre così perché troppe volte lo abbiamo visto arrabbiarsi, perdere la pazienza, lamentarsi. Con il suo team da questo punto di vista ha fatto un lavoro straordinario, il vero punto di svolta di ieri che gli ha permesso di pensare solo alla partita e allo scorrere del punteggio.
Nel secondo set ha avuto cinque match point, quattro sul suo servizio, tre consecutivi al tie-break. Rimettere in gioco un avversario praticamente già sotto la doccia e che si esalta nei momenti di recupero in altri tempi lo avrebbe scoraggiato fino a non fargli giocare bene il terzo set. Questa volta non è successo.
Ha provato a dimenticare e comunque ha continuato a credere nel suo gioco che fino a quel momento aveva reso moltissimo. Ha avuto una palla break, nessuna Carlitos, e sul 5-4 alla prima occasione ha chiuso.
Se l’aspetto psicologico è stato fondamentale non possiamo non considerare i miglioramenti tecnici che non sono prorompenti ma evidenti. Ha migliorato molto il servizio sia da destra che da sinistra usandolo come l’arma fondamentale di inizio gioco con ottimi cambi di direzione, altezza, velocità e slice.
Il rovescio non è solo bello stilisticamente ma sempre più efficace mentre anche il diritto incomincia a essere più penetrante. Il suo gioco a rete è sempre stato sopra gli standard per un ventenne, ora lo usa ancora più saggiamente.
Gli si chiede di avanzare, ci sta provando ma ci vorrà tempo. Non avrà mai la risposta al servizio di Sinner perché i tempi del suo tennis sono diversi. Con il tempo addomesticherà meglio anche le superfici più veloci ma la terra rimarrà la sua superficie d’elezione, quella dove credo otterrà i risultati più prestigiosi. Amburgo docet. Diciannovenne ci fece sognare a Parigi contro Djokovic, un paio di mesi fa fu straordinario con Tsitsipas prima di cedere più nelle risorse psicofisiche che tecnicamente.
L’ultimo italiano a vincere al Foro Italico e al Roland Garros fu Panatta nel 1976, prima di lui Pietrangeli ma non era ancora tennis Open. Non gli chiediamo di fare l’impresa che fu di Adriano nello stesso anno ma a vent’anni il tempo insieme a capacità e volontà per concentrarsi almeno su questi due obiettivi non mancano di certo. L’Italiantennis è con lui.