La finale tra Carlos Alcaraz (1) e Novak Djokovic (2) era la più pronosticata e attesa. Da una parte il giovanissimo già vincitore di uno Slam e più precoce n°1 della classifica mondiale che prova a riscrivere la storia del nostro sport, dall’altra il campione che non si arrende all’età e che nei Major ha un rendimento addirittura superiore rispetto a qualche anno fa.
Dopo l’eredità lasciata dai tre grandi nessuno fino a diciotto mesi fa pensava possibile che un ventenne fosse in grado, in un lasso di tempo così breve, di riempire il vuoto di una generazione che, escluso Federer, qualcosa da dire ha ancora. Eppure sta accadendo sotto i nostri occhi.
Il suo connazionale Nadal credo che dopo aver preso l’anno sabatico vorrà riproporsi almeno sulla terra battuta per dire la sua – suonar forte un colpo al Roland Garros – prima di chiudere definitivamente una carriera che lo pone senza dubbio tra i più grandi di tutti.
Carlos e Novak hanno ampiamente meritato la finale. Entrambi non hanno mai veramente rischiato, ma solo giocato alcuni match più difficili, hanno dovuto superare qualche ostacolo più ostico dando l’impressione di essere sempre in grado di controllare la situazione. Hanno solamente alzato l’asticella quando ne avevano bisogno.
Carlitos lo ha fatto con Jarry che a tratti lo ha messo in difficoltà con il servizio e il diritto potente, con Berrettini al quale ha dovuto cedere la prima frazione nella quale Matteo ha tenuto bene il campo prima di lasciare spazio, game dopo game, alla potenza mista alla velocità dell’avversario perché il suo fisico sta recuperando la forma e non è ancora quello di due anni fa. In certi momenti è stato capace di entusiasmarci per come ha lottato ma i tanti mesi di stop in termini di partite ufficiali e di allenamento non si possono cancellare con una passata di spugna.
Nei quarti e nelle semifinali Carlitos ha regolato Rune e Medvedev senza lasciare un set. Due partite diverse ma nelle quali ha lasciato un’impronta indelebile, almeno a ora, di superiorità. Con Rune, stessa età, si è mostrato molto più maturo perché il danese certe volte sembra ancora un ragazzino, un moccioso come lo ha definito Wawrinka.
Con Medvedev, il moscovita che predilige il cemento, in particolare nel secondo set la superiorità del murciano è sembrata quasi imbarazzante con Daniil che non riusciva a rispondere e a trovare una posizione in campo per non rendere troppo gravoso il punteggio. Lo spagnolo ha mostrato una varietà di scelte, molte difficili, che Medvedev non ha saputo arginare.
Djokovic ha incominciato il torneo domando il miglior Hurkacz della stagione che ha fatto vedere servizio e volée di primissima qualità, in questo tipo di gioco è sicuramente il migliore del lotto, ma non è bastato perché Nole ha vinto i primi due set con altrettanti tie-break lottatissimi, ha tirato il fiato nel terzo per poi chiudere nel quarto appena il polacco ha sbagliato un paio di colpi di troppo.
Credo che Nole con Rublev abbia giocato una partita nella quale sapeva che, considerate le caratteristiche tecniche dell’avversario, non poteva perdere. L’ha controllata a suo piacimento anche se ha perso il primo set nel quale Andrej ha sparato tutti i suoi colpi che nel corso della partita si sono rivelati a salve.
L’attesa della semifinale con Sinner, in Italia e tra gli addetti ai lavori, era sicuramente alta. L’anno scorso fu quarto e Djokovic se lo aggiudicò dopo aver perso i primi due set. Quest’anno non è stato necessario perché Sinner ha giocato bene soprattutto nel terzo nel quale ha avuto due set point e con essi la reale speranza di allungare il match. Ha finito in crescendo e questo è un bene ma forse qualcosa di più, credo sia lecito dirlo, ce lo aspettavamo. Lo dimostra che Jannik è uscito dal campo arrabbiato e convinto di non essersi espresso al massimo. Gli allenatori stanno arricchendo il suo gioco ma molto lentamente rispetto ai suoi coetanei migliori e il diritto non sempre funziona a dovere, troppo spesso ne perde il controllo.
Domenica 16 luglio 2023 si gioca comunque per la storia. Nole punta a raggiungere Federer nei titoli vinti ai Championships per poi tentare per la seconda volta in tre anni il Grande Slam, Carlitos vuole diventare uno dei più giovani vincitori di Wimbledon nell’era Open. A Parigi Alcaraz finì la benzina, questa volta immagino proprio che non succederà. Djokovic parte favorito, inutile elencarne i motivi, ma Alcaraz è dietro l’angolo pronto a girarlo fino al rettilineo finale gasando a tutta velocità.