Negli anni ‘70 in Italia si poteva vedere il tennis con il contagocce.
La Rai si limitava alle partite di Coppa Davis, agli Internazionali d’Italia, alla finale di Wimbledon e poco altro.
Anche le cronache dei giornali prendevano pochissimo spazio e solo quando i match riguardavano un giocatore italiano, la finale di Wimbledon e del Roland Garros.
Nessuno ha potuto assistere, a meno che fosse stato sulle tribune, a quello che viene considerato, anche dallo stesso interessato, il match più bello che abbia mai giocato Adriano Panatta.
Successe sul centrale di Flushing Meadows il 4 settembre 1978. L’avversario era Jimmy Connors, allora quasi incontrastato numero 1 della classifica Atp e già vincitore per ben due volte degli US Open a Forest Hills.
Adriano non veniva da un periodo di risultati pari al suo livello. A dimostrarlo le sconfitte precoci di Indianapolis, Toronto e Boston e ancora peggio gli era andato a luglio in Coppa Davis quando perse contro l’ungherese Szoke che i giornalisti italiani individuarono, sbagliando, come un cameriere dell’aeroporto.
Alla prima edizione di Flushing Meadows le sensazioni migliorarono. Sconfitti Orantes, Nichols e Riessen in incontri due su tre, ad attenderlo agli ottavi di finale c’era Jimbo.
Adriano vinse il primo set, subì il ritorno dell’avversario nel secondo e nel terzo, vinse il quarto e giocando un quinto memorabile contro uno dei migliori Connors di sempre si ritrovò a servire per il match sul 5-4. 0-30 30-30, poi l’americano gli strappò la racchetta dalla mano con due risposte.
Jimbo, sostenuto da un pubblico scatenato, giocò, tra gli altri, un fantastico passante di rovescio ad una mano giocato con i piedi molto lontani dal campo. Arrivò la resa di Adriano per 7-5.
Dopo aver sconfitto il romano il player dell’Illinois batté senza più cedere un set Gottfried, McEnroe e Borg in una finale nella quale l’Orso svedese raccolse solo otto game.
Non si può certo dire che Panatta avrebbe vinto gli US Open ma il rimpianto insieme alla grandissima prestazione rimangono come un sigillo a ricordare il suo altissimo potenziale che purtroppo non sempre riuscì ad esprimere al meglio.