In questo periodo atipico e un po’ bislacco del tennis mondiale molti ritenevano possibile che Carlos Alcaraz potesse far tuonare la sua voce agli US Open. Questa primavera aveva espresso una precocità quasi da record e un talento cristallino nei tornei sul cemento statunitense e sulla terra tanto da far pensare che potesse fare suo il Roland Garros.
Lo fermò per un soffio Sascha Zverev che in semifinale fu bloccato da Nadal ma anche dalla sfortuna. Carlos si era quindi preso un periodo di pausa agonistica nella quale aveva alternato buoni incontri ad altri meno convincenti. Dopo i tornei di Montreal e di Cincinnati dove non aveva mostrato il meglio di sé, era da prevedere che tornasse a battere più di un colpo a Flushing Meadows. Personalmente non pensavo tuttavia che arrivasse a tanto.
Ci è riuscito con quattro vittorie molto belle perché dagli ottavi di finale ha dovuto affrontare avversari veri: il croato Cilic che non è quello che vinse a Flushing Meadows nel 2014 ma che su questa superficie sa mettere a frutto nel miglior modo il servizio e un diritto molto veloce che pennella le righe, Sinner che è arrivato ad un centimetro dal traguardo, Tiafoe al quale non sono bastati momenti straordinari di esaltazione agonistica e Ruud che nel terzo set sembrava in grado di rovesciare l’esito del match.
Quando parliamo di Carlos dobbiamo sempre ricordare la sua giovanissima età e quindi considerare che la formazione tecnica, mentale, agonistica non è assolutamente giunta all’apice e quindi sarebbe naturale aspettarsi dei cali di prestazione. Evidentemente il player di Murcia appartiene ad una razza particolare capace di stupire perché ogni suo gesto è naturale, nato con lui o sembra accompagnarlo fin dalla tenerissima età. Nel suo tennis c’è molto istinto, bravura nel risolvere difficili problemi tattici in brevissimo tempo, anche se non mancano continui rimandi con il suo coach Ferrero che ha delle indubbie capacità di guida.
Stamattina leggendo la classifica Atp mi è venuto spontaneo fare alcune considerazioni e pormi qualche domanda. La sua prima posizione è solo l’inizio di un regno duraturo o si potranno vedere sorprese in un periodo di tempo a medio termine? Chi potrà veramente contrastarlo?
E’ certo che se Djokovic avesse giocato una stagione regolare e Zverev, che ha compiuto un salto di qualità, non si fosse fatto male al Roland Garros vedremmo un ranking diverso da quello odierno ma il senso di quello che ci chiediamo rimane senza dubbio attuale.
Alcaraz, che nella primavera 2021 non era ancora entrato nei primi cento della classifica mondiale, ha corso gli ottocento metri con il tempo di un quattrocentista e ha lasciato al palo chi sperava di succedere ai big three. Nel giro di qualche mese i player nati nella seconda metà degli anni ’90 – penso a Medvedev, Zverev, Tsitsipas, Shapovalov, Hurkacz, Rublev e Berrettini – che si erano accapigliati per anni e che avevano conquistato posizioni senza bruciare le tappe, ora si trovano irrimediabilmente indietro e costretti a rincorrere un giocatore che pare volare e non correre con il passo del mezzo fondista.
Hanno speranze per arrivare in vetta? Ovviamente sì, ma non sarà facile e non solo dal punto di vista tecnico. La loro credibilità e l’autostima hanno subito un durissimo contraccolpo dalle quali non sarà per nulla facile riprendersi.
Alcaraz tornerà a perdere, anche partite che magari sembreranno scontate e non è per nulla detto che si ripeterà in Australia, ma il dado è tratto e dal match di ieri sera non si può tornare indietro. E’ una pietra miliare del tennis degli ultimi vent’anni della quale tutti dovranno tenere conto. I venticinquenni di oggi rischiano di rimanere bruciati e sicuramente dovranno riproporsi con un nuovo look perché il banco è saltato.
Non ho nominato Sinner e neanche Auger, entrambi nati nel nuovo millennio. Il canadese che era nel Circuito Challenger quando Alcaraz ancora faceva le scuole medie, sembra convincere dei suoi progressi un giorno ma non in quello successivo e non mi sembra dotato del talento cristallino e soprattutto dell’instint killer dello spagnolo, mentre per l’altoatesino il discorso mi sembra molto diverso.
Jannik ha tutte le caratteristiche per rendere durissima la lotta come hanno dimostrato le partite di Wimbledon, vinta da Sinner, e quella degli US Open nella quale è stato l’unico ad avere concrete possibilità di vincere – ha avuto match point nel quarto set – ma è chiaro che da oggi anche lui dovrà mettersi a correre perché i pochi metri di distanza che li separano non diventino un mezzo giro di pista domani.