Il cambio generazionale che avrà il suo culmine nel 2022 è già in atto. Vedremo come Nole, Rafa e Roger sapranno reagire.
Anno così difficile questo 2020 da farmi sentire in colpa nel parlare di tennis. Non sono solo i punti Atp ad essere stati congelati. Tutti noi siamo finiti nel freezer e ancora non ne siamo usciti. Stesso discorso vale per i tennisti. C’è chi ha approfittato per farsi operare come Federer e Fognini, c’è chi ha giocato quasi tutte le settimane pre e post pandemia come Rublev che è stato il player a vincere il maggior numero di partite e tornei. Quinto con 3225 punti nella classifica che tiene conto dei soli tornei giocati quest’anno, 8° a 4119 prendendo in considerazione il ranking bloccato.
Nella classifica race dell’anno Djokovic è di gran lunga il primo. 6455 punti contro i 3815 di Thiem per il quale questa è stata finora la migliore stagione tennistica in carriera con due finali Slam sul veloce e l’onore di essere il 150° giocatore a vincere un titolo Slam. Ha vinto a Flushing Meadows grazie a una diversa posizione in campo soprattutto in risposta, a maggiori variazioni sul rovescio giocato anche col polso bloccato e in back. Migliorato di molto il servizio con il quale si procura tanti punti con una traiettoria in slice ad uscire che alcuni anni fa provava molto meno. Meritodi coach Massù con il quale ha iniziato a collaborare nel tardo inverno dello scorso anno.
Personalmente credo che da quando, tra giugno e luglio, ha incominciato a fare una serie di esibizioni sul veloce con sedici incontri vinti e 1 sola sconfitta – contro Rublev per un paio di punti – abbia iniziato a vedere Flushing Meadows come l’oasi dove potersi abbeverare, il luogo nel quale togliersi un peso diventato incommensurabile dopo tre finali Slam tutte perse: essere il primo tra quelli che inseguono a vincere un Major. L’ultimo ad esserci riuscito era stato Cilic nel 2014 a Flushing Meadows grazie ad una settimana che fu per lui spaziale.
Per Dominic era diventato così importante vincere a New York che il Roland Garros, il suo torneo d’elezione, era stato relegato come obiettivo importante ma non prioritario, e non solo perché in questo anno bislacco dove il calendario è stato rivoluzionato veniva giocato con il freddo e l’umidità. Il veloce incomincia a piacergli, come ultimamente ha più volte dichiarato, e vincere su una superficie che fino a un paio di anni fa vedeva come fumo negli occhi è fonte d’orgoglio e di grande soddisfazione.
Nadal che ha posto il Roland Garros come primo e quasi unico bersaglio da centrare in stagione non è si è fatto intimorire, in una Parigi autunnale, dalle condizioni atmosferiche avverse. Ha affrontato la preparazione e il torneo – nemmeno un set perso – con lo spirito e la serietà del ragazzino nonostante alcuni avessero messo in dubbio una sua possibile prestazione superlativa nella capitale francese, come se bastassero solo un po’ di freddo e di umidità per fargli dimenticare come si vince nel suo tempio prediletto. Tredicesimo titolo e dichiarazioni di guerra anche per i prossimi anni. Nel 2021 potrebbe tuttavia essere il turno di Thiem, finalista nel 2018 e nel 2019, Nole e next-gen permettendo.
Per impensierire Nadal il prossimo anno al Roland Garros ci vorrà la migliore prestazione di Djokovic. Quello che ha incontrato in questa edizione era una controfigura. Lo è diventato dalla domenica sciagurata di ottavi di finale a Flushing Meadows nel match contro Carreño nel quale con un gesto di stizza senza alcuna giustificazione – che non volesse colpire la giudice di linea ovviamente lo sanno tutti – ha rovinato una stagione che se pur dimezzata poteva diventare epica. Non credo, a dir il vero, che sarebbe stata senza sconfitte, ma negli ultimi mesi avrebbe giocato sicuramente meglio.
Quello che ha fatto tuttavia gli è bastato per continuare ad essere il primo nella classifica generale con un avanzo di punti su Nadal tale, 12030 contro 9850, che il record assoluto di settimane da primo in classifica necessario per raggiungere e superare Federer è ormai a portata di mano. L’8 marzo 2021 con 311 settimane re Roger sarà spodestato e per lui questo record diventerà irraggiungibile.
Continua invece la rincorsa di Federer a Connors per tornei vinti in carriera. La distanza è di sei: 103 contro 109. Valutata la propensione di Roger a giocare solo tornei di alto livello e considerate le quaranta candeline che spegnerà il prossimo 8 agosto mi sembra quasi impossibile l’aggancio.
Non si creda tuttavia che Roger, fermo ormai ai box dallo Slam Australiano, si butti in mare senza salvagente. L’anno della pandemia gli ha permesso di fare il tagliando, operazione al ginocchio destro resa necessaria per giocare al massimo delle sue possibilità, e non tirare la carretta come qualcuno che non ha letto le sue ultime interviste potrebbe credere.
La classifica congelata indubbiamente lo ha favorito visto che con 6630 punti si ritrova in 5a posizione, prima di Tsitsipas, Zverev e Rublev. La nona a Wimbledon, ricordate come finì nel 2019?, e l’oro Olimpico di Tokyo sono i suoi obiettivi per la prossima stagione nella quale ha promesso di stupirci. Qualche altra vittoria interlocutoria non credo gli dispiacerebbe.
Non mi aspettavo di vedere Schwartzman alle Finals di Londra nemmeno dopo la finale del Foro Italico. Diego, nell’anno tragico per un altro Diego molto più famoso di lui, invece ci ha creduto fino in fondo. Ha giocato al meglio la carta del Roland Garros calando una briscola pesante e ha fatto i punti necessari sul veloce indoor, superficie che non potrà mai essergli completamente amica. Onestamente credo che per il prossimo anno, quando vivremo se Dio vorrà un anno diverso, sarà molto difficile ripetersi.
Stiamo assistendo ad un cambio generazionale che tra il 2021 e il 2022 andrà a completo compimento. Tra i primi trenta del mondo, se si escludono i soliti noti, non solo non vedremo più i nati negli anni ’80 ma anche quelli che hanno visto la luce fino al ’94 e al ’95, saranno pochissimi. Se consideriamo la classifica race di questa stagione ci sono 14 giocatori nati negli ultimi 25 anni nei primi 30 e altri 11 fino ai primi 50.
Immagino che state pensando che questo sia un anno del quale non ci dobbiamo fidare completamente. Lo so, anch’io ne sono convinto, ma l’onda d’urto dei giovanissimi si farà sentire sempre più forte. Chi si salverà da questa nuova classe di next-gen avrà merito doppio.Già a partire dall’Australian Open credo proprio che le sorprese non mancheranno.