Solo Jack Crawford, Donald Budge, Lew Hoad e Rod Laver hanno sicuramente vissuto le emozioni che sono in questi giorni di Novak Djokovic. Sono gli unici tennisti che nella storia hanno vinto nello stesso anno le prime tre prove dello Slam.
A dir la verità per l’australiano Crawford il discorso è diverso. Il giorno dopo la sua sconfitta al US Open contro Fred Perry – in vantaggio di 2 set a 1 racimolò solo un game nei due successivi – il player che veniva dalla regione del Nuovo Galles del Sud era rammaricato per non aver aggiunto un titolo importante ai tanti tornei già vinti.
Fu Allison Danzig a scrivere sul New York Times che ”il sogno di Crawford di realizzare il Grande Slam era svanito”. Il termine era in uso nel golf che lo aveva rubato al bridge.
Purtroppo quel giorno John soffriva di una forte allergia e qualcuno gli aveva consigliato di curarla con piccoli sorsi di brandy durante i cambi. Negli ultimi due set si racconta di un giocatore che vagava nel campo non più in grado di colpire la pallina.
John avrebbe quindi vinto il Grande Slam probabilmente in modo inconsapevole. Il termine grazie al giornalista fu comunque sdoganato anche per il tennis e da allora s’incominciò a parlare di Grande Slam nel nostro sport.
Nel 1938 il californiano Donald Budge già a inizio anno disse chiaramente ai giornalisti che puntava al Grande Slam. Si contendeva la palma del migliore con il barone von Cramm e Fred Perry, ma già nel 1937 era diventato il più bravo di tutti. Aveva battuto il barone nelle finali di Wimbledon e di Forest Hills di quell’anno e si proponeva di fare altrettanto nel 1938 aggiungendo anche i titoli dell’Australian Open e del Roland Garros.
Le finali del 1938 furono vinte con relativa facilità. In quella di Wimbledon lasciò all’inglese Austin, il primo giocatore a portare gli short, quattro game. Solo a Forest Hills con l’amico Mako, suo compagno di doppio e con il quale aveva condiviso una vita di sfide, perse un set.
L’impresa non riuscì a Hoad nel 1956 perché perse la terza sfida Slam dell’anno con il gemello diverso e grandissimo amico Rosewall. Aveva vinto quelle in Australia e a Wimbledon – al Roland Garros battè lo svedese Davidson – ma perse a Forest Hills quando sembrava ormai lanciatissimo dopo aver vinto il primo set.
La doppia impresa come sappiamo riuscì a Laver. Nel 1962 quando il tennis era ancora diviso tra professionisti e dilettanti e nel 1969 quando ormai il nostro sport aveva gettato la maschera dell’ipocrisia ed era aperto a tutti.
Anche il grandissimo Laver, per molti ancora il migliore di tutti, qualche problema non da poco per la sua doppia impresa l’ebbe. Nel 1962 ad esempio al Roland Garros ai quarti di finale salvò un match point a Martin Mulligan, che per noi italiani diventò qualche anno dopo Martino.
Nel 1969, sempre a Parigi, si trovò al secondo turno sotto di due set con l’australiano Crealy. La pioggia rimandò il match alla mattina seguente ma il salvataggio dalle sabbie mobili del Roland Garros non fu certo una passeggiata di salute.
Anche a Wimbledon tra Rod e il secondo possibile Grande Slam si frappose un altro carneade. L’indiano Lall per fortuna di Laver era più bravo a giocare che a vincere. Il player indiano si emozionò quando era vicinissimo al successo e riuscì a perdere 14 game di fila.
Rod arrivò a Forest Hills consapevole che avrebbe dovuto lottare ancora molto. Lo fece con Ralston, Emerson e Ashe in semifinale. In finale lunedì 8 settembre con l’amico Roche, avversario acerrimo di tante battaglie, perse il primo set, poi i colpi uscirono rapidi e fluidi dalle corde della sua racchetta e Tony cedette di schianto.
Sono cambiati gli stadi, le superfici, le racchette e persino il clima. I sentimenti di emozione, paura e coraggio tuttavia sono rimasti immutati. Seguiranno Novak come hanno tenuto compagnia ai vecchi campioni. Dovrà saperli sconfiggere prima ancora dei suoi avversari – che comunque metteranno il massimo dell’impegno per non farlo essere felice – se vuole entrare ancor di più nella storia del nostro sport.