Nel primo 1000 della stagione, quello di Cincinnati giocato a New York, non basta il redivivo Raonic per superare il serbo che ha accusato qualche problema fisico durante la settimana.
Ci eravamo lasciati, l’ultimo giorno di febbraio di un anno bisestile, con le vittorie di Djokovic a Dubai – la sua quinta in carriera in quel torneo – e di Nadal ad Acapulco dove il maiorchino ha vinto tre volte.
Successi che si sarebbero potuti ripetere durante l’anno perché anche se il Covid-19 stava incominciando a far sentire i propri strali a marzo non avevamo ancora capito quale guerra, ancora lontana dall’essere vinta, il mondo avrebbe dovuto combattere.
S’è fermato lo sport e il tennis non ha fatto eccezione. Ad aprile intuimmo che la questione sarebbe andata per le lunghe: l’annullamento dei tornei a Indian Wells e a Miami, il rinvio di alcuni tornei europei sul rosso, la decisione irrevocabile che l’edizione 2020 dei Championships non si sarebbe giocata – unica volta dalla sua prima edizione del 1874, se si escludono gli anni dei due conflitti mondiali – ci hanno fatto pensare che la stagione 2020 sarebbe finita con i tornei vinti da Nole e Rafa se i player e i loro accompagnatori non avessero accettato delle regole sanitarie e di comportamento molto rigide, compresa quella di tirare ace e diritti in stadi vuoti.
Tennisti, dirigenti, organizzatori, sponsor, media e pubblico hanno avuto bisogno di molto tempo per metabolizzare e mandare giù il boccone amaro prima di incominciare a capire come si sarebbe potuto salvare il salvabile. Dopo molte riunioni, nelle quali quasi mai vigeva l’armonia, il sistema tennis ha trovato se non un’unica lingua almeno un minimo di capacità per affrontare la nuova situazione.
Il nuovo calendario dei tornei per arrivare a fine stagione è stato stilato e i giocatori sono contenti di ricominciare anche se sono sorvegliati a vista e devono firmare documenti che li responsabilizzi per qualsiasi accidenti possa loro capitare. Dopo quello che è successo recentemente in Serbia e in Croazia, con tutte le discussioni e le accuse che ne sono seguite, non si trova nessuno disposto ad assumersi colpe non proprie perché la fiducia verso le azioni altrui è merce rara.
La prima stranezza è stata appena servita. Il torneo di Cincinnati si è giocato su alcuni campi dello stadio di Flushing Meadows. Nonostante qualche iniziale reticenza ad andare a New York e un fastidioso torcicollo nella settimana del torneo, Djokovic ha continuato a fare quello che gli riesce meglio: vincere. Lo ha fatto senza faticare fino ai quarti dove ha rifilato 6-3 6-1 a Struff che fino a quel momento aveva giocato forse il suo miglior torneo in carriera: de Minaur, Shapovalov e Goffin le sue vittime.
Nella parte bassa del tabellone visto Thiem giocare a suo stesso dire un match orribile, sconfitta inopinata – solo tre game fatti – con un Krajinovic tirato a lucido, si è giocata nei quarti tra il serbo e il canadese Raonic, per intensità e livello tecnico, la partita della settimana.
Il connazionale di Nole è arrivato a servire per il match sul 6-4 5-4 prima di farsi prendere dall’ansia, non è certo la prima volta, e farsi superare prima in modo netto al tie-break del secondo set e poi al dodicesimo gioco di quello decisivo.
Il canadese, un tempo fa allenato da Piatti, nella partita contro Tsitsipas che consideravo favorito ha mostrato di essere ancora un player brillante, un gran talento accompagnato purtroppo da un fisico di cristallo e da una mentalità fragile.
Ancora una volta il greco, che io vedo come primo successore tra gli ex next-gen sul trono di numero 1 della classifica mondiale quando saprà meglio canalizzare le sue grandi capacità tecniche e l’esuberanza fisica, mi ha deluso perché nei momenti decisivi del primo set non ha saputo trovare il momento della svolta che al contrario non si è fatto mancare Milos che ha chiuso in sicurezza anche il secondo.
Bautista Agut non sarà ricordato nella storia del nostro sport ma ogni volta che scende in campo riesce a irretire con la sua rete di scambi infiniti anche i top five, su qualunque superfice si giochi.
Anche se non tutti sanno che lo spagnolo è uno dei pochi che può vantare nella sua carriera più di un successo su Djokovic, in molti ricorderanno la fatica che Nole dovette fare lo scorso anno nella semifinale di Wimbledon, durata quasi tre ore, per avere la meglio in quattro set di Bautista.
Questa volta Nole ne è venuto fuori con l’esperienza, un paio di pause e qualche giocata delle sue nei momenti caldi del match.
La finale tra Djokovic e Raonic è stata posticipata a sabato perché giovedì l’Atp, in sintonia con alcune leghe professionistiche statunitensi come quella del basket, ha indetto una giornata di sciopero per i gravi fatti a sfondo razziale che stanno avvenendo ormai quasi giornalmente.
Per oltre un’ora è sembrata la volta buona per Raonic che in un colpo solo poteva portare a casa un doppio bottino: la prima vittoria in un 1000 e il primo successo contro Nole.
Dopo il set iniziale perso quasi senza giocare il serbo ha saputo trovare, anche se non in perfette condizioni fisiche, le risorse che gli hanno permesso di recuperare davanti ad un giocatore che ha creduto fino all’ultimo che fosse arrivato il suo giorno, quello di una vittoria che non sarebbe passata inosservata.
Nole quest’anno non ha ancora perso un match. Domani incominceranno gli U.S. Open senza Nadal e Federer, poi ci sarà una mini stagione sulla terra – Foro e Roland Garros in primis – per la quale Nadal si sta preparando da mesi.
Nole sarà della partita anche in Europa e non credo, conoscendo il carattere, che gli basterà essere un invitato di lusso.