Quando si decide di fare un po’ di analisi non basta quasi mai affidarsi alla memoria. Il rischio è quello di dimenticare, di approssimare o peggio ancora sbagliare e non è giusto. Bisogna quindi metterci un po’ di pazienza nel rileggere e rifarsi agli Albi d’oro e ai libri che parlano dell’argomento.
Che rapporto hanno avuto nel corso di quasi un secolo – è appena finita l’ottantesima edizione – i giocatori italiani con il loro Torneo? Io direi molto difficile perché nonostante esista nel nostro Paese una buona tradizione tennistica i risultati sono numericamente pochi, le vittorie pochissime e riguardano solo un ristretto numero di player.
Se dividiamo la torta del tennis nell’era dei dilettanti – lo erano veramente? – e in quella Open che iniziò nel 1968, possiamo notare che la prima è stata per i nostri tennisti più proficua perché hanno vinto un maggior numero di titoli. Nell’era dei calzoni lunghi e delle camice di flanella ce la cavavamo abbastanza bene anche se ovviamente quasi mai erano presenti i migliori perché le traversate erano lunghe e gli spostamenti difficili.
Le prime cinque edizioni si giocarono al Tennis Club Milano. La prima, nel 1930, fu nobilitata dalla presenza di Bill Tilden, ancora oggi considerato uno dei migliori di tutti tempi, che all’età di trentasette anni in finale lasciò quattro game al nostro miglior giocatore del tempo, il barone Uberto de Morpurgo. Il primo giocatore italiano a vincere il torneo fu nel 1933 il torinese Emanuele Sertorio a cui seguì Giovannino Palmieri, padre di Sergio attuale organizzatore degli Internazionali, che l’anno successivo batté il favorito Giorgio De Stefani. Ancora Palmieri arrivò in finale nel 1935, nel primo anno in cui il nostro torneo si disputò a Roma.
Fatta anziana la prima generazione di tennisti italiani, nel dopoguerra arrivò quella che dominò per circa vent’anni. Il primo ad affermarsi fu Gianni Kucel, fiumano di nascita, italianizzato come Gianni Cucelli che nel 1951 trovò in finale una barriera insormontabile in Drobny, forse il più grande campione di quel periodo, in particolare sulla terra rossa. Cucelli era un gran giocatore e con i fratelli Del Bello – Marcello e Rolando – rappresentò un’ottima squadra di Coppa Davis.
Dalla seconda metà degli anni ’50 si affermò un gruppo di giocatori che hanno fatto epoca e la fortuna del nostro tennis. Parlo di Fausto Gardini, Beppe Merlo, Orlando Sirola e soprattutto Nicola Pietrangeli.
Il milanese Fausto Gardini vinse gli Internazionali nel 1955 in finale contro Merlo in un match dall’esito drammatico e per certi versi quasi comico. Nel quarto set con Merlo in vantaggio di due set a uno, quando sul 6-6 del quarto Beppe non riusciva più a muoversi per via dei crampi, Gardini scappò negli spogliatoi, vista l’impossibilità del compagno di squadra di muoversi, lasciando l’avversario, piangente in campo, in preda a forti dolori. Oggi questi episodi non succederebbero più ma nel tennis di settant’anni fa, se non la regola, non erano certo un’eccezione.
Arrivò quindi il tempo del grande Nicola Pietrangeli, ancora oggi a quasi 90 anni ambasciatore del tennis italiano. Lo abbiamo visto premiare Edberg e Navratilova, con la Racchetta d’oro, per le loro straordinarie carriere. Nicola vinse il titolo nel 1957 contro Merlo e nel 1961 a Torino – la sede fu spostata per festeggiare il centenario dell’Unità d’Italia – contro Laver che l’anno dopo vincerà il Grande Slam. Erano gli anni in cui il romano nato a Tunisi era il miglior giocatore al mondo sulla terra battuta. A confermarlo i titoli del Roland Garros nel 1959 e nel 1960. Pietrangeli arrivò in finale anche nel 1958 e nel 1966.
Nel 1968 il tennis mondiale si tolse la maschera dell’ipocrisia e il nostro sport divenne così per sempre Open. I nostri player degli anni ’70 rappresentano ancora un esempio che nel tennis professionistico italico non è stato superato. Il più bravo di tutti fu Adriano Panatta che vinse nel 1976, dopo aver annullato al primo turno ad un modesto australiano un numero sconsiderato di match point, e fece finale nel 1978 contro Borg.
Nel 1977 arrivò all’ultimo atto Tonino Zugarelli, da molti poco considerato e visto solo come una riserva della squadra di Coppa Davis anche se lui fu, come sempre ricorda, molto di più. Paolo Bertolucci arrivò in semifinale nel 1973. Il soldatino Corrado Barazzutti, appellativo che non gli è mai piaciuto, non arrivò mai almeno ad una tanta sospirata semifinale. Si fermò due volte nei quarti.
Gli anni ’80 e ’90 furono i più neri della nostra storia anche se qualche buon giocatore come Omar Camporese, Paolino Canè e Andrea Gaudenzi, non mancarono. Mai nessuno, come anche Claudio Panatta e Francesco Cancellotti o ancora prima Gianni Ocleppo, superarono i quarti di finale.
Con il nuovo secolo una nuova generazione si è affacciata al grande tennis. A oggi ci dobbiamo accontentare delle semifinali di Filippo Volandri (2007) e Lorenzo Sonego (2021) mentre Andreas Seppi, Fabio Fognini, Matteo Berrettini e Jannik Sinner non sono mai andati oltre i migliori otto.
L’ottantesima edizione, quella di quest’anno, è andata veramente male per quanto fossero alte le nostre attese. Non ci resta che aspettare e sperare in anni migliori.