C’era una volta un giocatore biondo, figlio di una maestra di tennis della ex Unione Sovietica, che incantava chiunque lo vedeva all’opera. Capace di giocare traiettorie mancine velenose, trovare gli angoli più difficili, scendere a rete in controtempo, saltare con le gambe contemporaneamente in aria mentre colpiva di rovescio, indirizzare seconde di servizio più veloci e angolate della prima.
Giocava fin da ragazzino in questo modo e gli affecionated dei tornei giovanili che avevano avuto modo di vedere il suo tennis brillante ma rischiosissimo erano pronti a scommettere un perù che sarebbe diventato, messo su qualche chiletto e abbandonate le spensieratezze, un sicuro protagonista del tennis mondiale, di quelli che avrebbero fatto epoca. Il McEnroe del nuovo millennio!
A dar credito ai suoi estimatori erano venuti i primi risultati a livello professionistico a 18 anni – la stessa età nella quale Supermac fece la semifinale a Wimbledon – nella straordinaria estate americana del 2017 dove arrivò in semifinale all’Open del Canada battendo Del Potro e Nadal prima di perdere da Zverev e agli ottavi degli US Open dove, partendo dalle qualificazioni, si spinse tra i primi sedici perdendo sì da Carreño, ma non senza prima essersi preso il gusto di battere sia Medvedev che Tsonga.
I suoi fan di colpo aumentarono in tutto il mondo anche se i risultati di fine stagione fecero storcere il naso a chi lo credeva già un campionissimo. Partecipò anche alla prima edizione delle Next Gen Atp Finals di Milano. Tutti si entusiasmarono a vederlo giocare anche se arrivarono due sconfitte su tre incontri. Il nuovo messia del tennis mondiale era tra noi.
La sua carriera ha continuato a girare come se Denis fosse sopra un ottovolante impazzito e quando sembrava che i tanti pezzi del suo puzzle stessero andando a posto bastava distrarsi un attimo che il canadese ripiombava nel caos tennistico che forse è anche di vita.
La semifinale di Wimbledon di due anni fa sembrò tracciare un solco, un punto di non ritorno, la fine del disordine. Purtroppo non è stato così perché negli ultimi mesi sta retrocedendo a comprimario, a giocatore qualunque. Pochissime le vittorie, nessuna di vero spessore. Non sono bastati i tanti accompagnatori che lo hanno seguito, che hanno cercato di indirizzarlo, di fargli capire che i rischi che prende sono eccessivi e che non tutti i punti hanno lo stesso valore.
E così lui alterna momenti di spettacolo puro ad errori inutili che se continueranno lo faranno indietreggiare sempre di più nella classifica mondiale. Ha raggiunto la posizione n°10 del ranking, ma oggi è 30 e quello che maggiormente spaventa i suoi ammiratori è che non pare esserci una vera presa di coscienza. Dalle sue dichiarazioni sembra giocare solo per lo spettacolo, per sentire gli applausi dopo un bellissimo rovescio tenuto nascosto sino all’ultimo.
Il suo gioco esplosivo così sembra tuttavia perdere il senso vero che è quello del successo. Ogni punto è un mezzo per stringere la mano come vincitore e non un fine a se stesso, allo spettacolo, perché così facendo il rischio che allenatori, fan e sponsor piano piano si allontanino è sempre più probabile lasciandolo nel suo soliloquio.
Per la cronaca ha perso al terzo turno del Masters 1000 di Miami, alla seconda partita dopo il bye al primo, con Taylor Fritz per 6-4 6-4, ossia lo stesso punteggio con il quale l’aveva sconfitto il primo marzo di quest’anno anche ad Acapulco.
Taylor ha saputo mettere a frutto il suo talento che non è limpido come quello di Denis dopo un periodo, dai 20 ai 23 anni, fatto più di ombre che di luci. Oggi ha trovato la sua dimensione con il lavoro, la fatica e la sua capacità di stare in campo che gli garantiscono solitamente buoni se non ottimi risultati. Ora è lui nella top ten con l’intenzione di provare a starci per più tempo possibile.
I due break all’ottavo game del primo set e al quarto del secondo per il punteggio di 6-4 6-4 non danno il senso preciso della differenza netta che si è vista in campo. E pensare che nei primi sette incontri ufficiali Denis aveva vinto cinque volte.