Pat Rafter aveva molto dei grandi maestri australiani ma riuscì a eguagliarli nei risultati solo in parte.
Le sue erano doti innate di gran giocatore da serve&volley che sapeva praticare su qualsiasi superfice ma impiegò del tempo per apprenderle – Newcombe e Roche tra i maestri – e renderle vincenti.
Avrebbe voluto essere eroe di casa ma soprattutto vincere sui campi di Church Road invece il destino volle che le migliori settimane le giocò sul cemento di Flushing Meadows dove nel 1998 bissò il successo dell’anno precedente.
La vittoria del 1997 a New York fu dirompente e inaspettata. Non tanto per la finale contro Rusedski, bravo ad infilarsi nella parte giusta del tabellone, ma soprattutto con i successi su Agassi agli ottavi e Chang in semifinale dove fece valere il suo gioco vario e spettacolare.
Il titolo arrivò come una lieta sorpresa visto che fino ad allora le sue prestazioni, in particolare nei tornei Slam, erano quasi sempre state mediocri. La migliore era arrivata inaspettatamente al Roland Garros qualche mese prima dove Sergi Bruguera aveva dovuto giocare al meglio per respingere le continue discese a rete che l’aussie proponeva.
Fu bravo a ripetersi l’anno successivo rinverdendo la tradizione australiana. Nemmeno Laver e Rosewall erano riusciti a vincere per due anni di fila lo Slam americano. Nel 1951 e ’52 c’era riuscito solo Sedgman, il primo allievo vincente di “Geppetto” Hopman.
Era la sua estate e dopo le vittorie a Toronto e Cincinnati in molti lo consideravano favorito.
Dopo aver recuperato una partita al primo turno che si stava complicando con il marocchino Arazi, sconfisse Ivanisevic negli ottavi in quattro set, ma il suo capolavoro lo compì in semifinale dove Sampras fu costretto ad abdicare dopo due successi consecutivi.
Rafter in quel match mostrò il suo miglior tennis. I grandi miglioramenti da fondo andavano a braccetto con un’ottima tenuta mentale e una spiccata capacità di saper interpretare al meglio ogni partita. Il serve&volley era ormai solo un’arma, a dir il vero ancora la migliore, per sconfiggere i suoi avversari.
Se ne accorse Pete ma anche il connazionale Philippoussis, il cui gioco era troppo ancorato alla prima di servizio che usciva dalle sue corde a velocità supersonica.
Il suo grande rimpianto? Essere arrivato vicinissimo a vincere sull’erba di Wimbledon. Lo confessò al nostro Gianni Clerici nel 2006 mentre venivano ammessi alla Hall of Fame di Newport.
Contro Sampras nel 2000 gli furono fatali due errori al tie-break dopo aver vinto il primo set giocato da entrambi in modo superbo.
Contro Ivanisevic l’anno successivo arrivò tre volte a due punti dal match ma un errore di troppo e il servizio di Goran fecero la differenza.
Avrebbe potuto ancora deliziarci se la sua spalla non avesse incominciato a fare i capricci troppo presto. Si ritirò che non aveva ancora trent’anni. Peccato perché abbiamo perso un player delizioso e un ragazzo molto simpatico e disponibile anche fuori dal campo.