Dove si era nascosto?
Dove si era nascosto Aslan Karatsev, il giocatore russo del quale non si sapeva quasi nulla fino ad un paio di mesi fa? A star ben attenti qualche segno del suo passaggio nei fondali bassi dei tornei giocati spesso in posti impronunciabili dove è un’impresa arrivarci lo aveva già lasciato. Di storie come quella di Aslan, quasi mai a lieto fine, che non riguardano solo tennisti ma sportivi di tante altre specialità, se ne potrebbero scrivere molte da essere raccolte in un libro senza mai mettere la parola fine. Tuttavia non fanno cronaca e interessano solo le loro famiglie.
La domanda di chi sia e da dove diavolo sia venuto fuori la stampa specializzata e anche molti addetti ai lavori se la sono fatta da quando Karatsev è arrivato con grande stupore di tutti in semifinale all’Australian Open. Il successo di Dubai dove ha dominato in semifinale molto più di quello che dice il punteggio – 6-2 4-6 6-4 – Rublev che aveva vinto gli ultimi quattro Atp 500 e Harris in finale con un gioco essenziale quanto efficace – velocissimo sul campo, timing perfetto sulla palla con i due fondamentali – rende ancora più legittimo il quesito.
Si è fatto a gara in questo periodo per cercare notizie biografiche, i suoi trascorsi di tennista e ragazzo. Più misteri che certezze almeno fino all’estate del 2020 quando si è messo in evidenza al primo torneo Challenger del dopo lockdown disputato a Praga. E’ arrivato in finale perdendo da Wawrinka ma dopo essersi permesso il lusso, per lui che aveva iniziato la stagione con la classifica di pochissimo inferiore al n° 300, di sconfiggere Vesely ed Herbert. Ha vinto i successivi tornei di Praga 2 e Ostrava. Settimane meravigliose che gli hanno permesso di scalare tantissime posizioni, di porre le basi per giocare con una certa continuità, partendo dalle qualificazioni nel circuito maggiore, nei tornei dove le vittorie fanno credibilità, punti e money.
A fine 2020 Aslan a San Pietroburgo ha battuto Sandgren prima di far venire i sudori freddi a Khachanov che lo ha sconfitto al terzo set ma anche a Nur Sultan e Sofia i suoi passi non sono stati da sprovveduto.
Nel 2021, escluso il torneo di Miami, ha giocato 17 match perdendone solo due, contro Thiem a Doha oltre alla già celebrata sconfitta contro Nole a Melbourne.
Ma cosa sappiamo di Aslan Karatsev? Di origini ebraiche da parte materna è nato il 4 settembre 1993 a Vladikavkaz, capitale della Repubblica autonoma dell’Ossezia del Nord, ai confini fra Russia e Georgia, ai piedi del Caucaso. Ha iniziato a giocare a tennis a Tel Aviv dove si era trasferito con la famiglia. La sua è una vita da girovago della quale si conosce non molto, solo nomi sconosciuti come maestri, luoghi per allenarsi dove si fermava per poco tempo, neanche sufficiente per ambientarsi.
A vent’anni ha esordito nel tour maggiore – San Pietroburgo, Mosca – ma sono stati soprattutto i tornei minori a vederlo ogni tanto protagonista. Tra il 2015 e il 2016 la sua classifica è quella di un giocatore mediocre ma capace di battere player di qualche spessore. Anche se veniva a giocare spesso in Italia dove non andava oltre i primi turni, il suo nome rimase misconosciuto se si superavano i suoi confini di appartenenza.
Tra il 2017 e il 2018 ha dimostrato che il proprio destino non doveva essere come quello di tanti che non ce l’hanno fatta. I molti mesi necessari per recuperare da un infortunio al ginocchio lo hanno fatto precipitare oltre la seicentesima posizione mondiale. Ha avuto bisogno di ricominciare. E’ ripartito dai tornei che gli offriva la piazza, vicino a casa, senza sponsor e con montepremi che non riuscivano nemmeno a risarcire le spese. Nel 2019 è rientrato nei 500 e passo dopo passo ha ripreso la rincorsa.
Nel proprio cammino di vita è sempre importante trovare persone che sanno accompagnare nei momenti di difficoltà, che fanno da guida. A vent’anni aveva incontrato Tursonov, buon giocatore russo di inizio millennio, nel 2019 è stata la volta del suo allenatore attuale, il bielorusso Yatsyuk e di un preparatore fisico portoghese con i quali ha instaurato un rapporto di reciproca fiducia che nel giro di qualche mese lo ha fatto risorgere.
La svolta, come abbiamo detto, dagli Australian Open. Prima le qualificazioni necessarie giocate straordinariamente a Doha, luogo che lui conosce bene per averci giocato diversi Future, poi la galoppata che si è fermata solo in semifinale davanti a Nole dopo aver sconfitto tra gli altri Schwartzman, Auger, Dimitrov e ancora il successo all’Atp 500 di Dubai battendo in semifinale Rublev che ha fatto letteralmente impazzire rubandogli non solo il tempo ma anche sicurezza nel gioco da fondo.
Non so se quella di Aslan, ormai non lontano dai primi venti nella classifica Atp destinata a migliorare a vista d’occhio, sia una favola dal brusco risveglio o un sogno destinato a durare per diventare una storia della quale si leggerà sui libri di tennis. Per ora sto alla finestra ad osservare, qualcosa di meraviglioso potrebbe succedere. Che la sua vita tennistica sia di lezione per tutti quelli che a vent’anni si disperano se non sono ancora dei campioni. Sono tuttavia consapevole che il suo racconto possa essere anche pericoloso da narrare perché il percorso di Aslan ha pochissimi precedenti nel tennis Open. Non deve quindi illudere nessunoperché come ricorda una bella canzone di Gianni Morandi al quale mandiamo gli auguri di una buona guarigione uno su mille ce la fa.