Wimbledon non è mai stato nei pensieri dei giocatori italiani. Né ieri, né oggi. Non che con gli altri tornei dello Slam per i nostri tennisti fosse mai andata meglio ma qualche piccolo sfizio, perlomeno al Roland Garros, Pietrangeli prima e Panatta poi se lo erano tolto.
Il problema sembrava un altro. Il torneo lungo due settimane, tre su cinque, con il tabellone da 128 giocatori, non è mai appartenuto al nostro Dna. Sempre male in Australia, mai bene negli U.S. Open, con il torneo che si gioca sui campi di Church Road c’era sempre stato una sorta di amore e di odio che non aveva mai portato fortuna.
Nicola amava l’erba ma trovava sempre qualcuno, specie australiano ma non solo, a fermargli la strada. Adriano ha sempre dichiarato che sui campi di Wimbledon non riusciva a giocare il suo miglior tennis.
I suoi amici australiani come Hoad e Newcombe gli avevano spesso spiegato che con il suo talento poteva giocare benissimo sull’erba, che avrebbe potuto ottenere grandi risultati se solo lo avesse voluto. Per loro era una questione di mentalità prim’ancora che tecnica. John lo aveva preso con sé e per diversi giorni gli aveva spiegato come doveva muoversi, quando colpire la palla, ma le lezioni non erano mai state proficue.
Nel 1979 Adriano arrivò a Wimbledon senza alcuna preparazione specifica. Salì sull’ultimo aereo disponibile per arrivare in tempo. Un avversario dopo l’altro e la convinzione aumentò, il compito da svolgere non sembrava poi così impossibile. Forse aveva ragione il suo amico Hoad che gli aveva sempre detto che se avesse voluto avrebbe potuto vincere Wimbledon. Ma forse il tempo era ormai passato così come scorse via la grande occasione contro Dupre, avversario modesto per essere un quarto di finale. Il premio, battuto Tanner, sarebbe stato Borg con il quale il buon Adriano si trovava a meraviglia perché era uno dei pochi veramente capace di metterlo in difficoltà con continue variazioni, discese a rete, palle corte, servizi vincenti, colpi a tutto braccio capaci di interrompere il ritmo in top spin del super regolarista.
Vi ho raccontato del passato perché della partita di domani stanno parlando tutti. Improvvisamente anche i telegiornali Rai si sono accorti che esiste il tennis e Wimbledon è il suo torneo più importante, dopo che per anni hanno ignorato completamente il nostro sport. Il tennis era uscito non solo dai palinsesti ma anche dalle notizie degli spazi televisivi che si occupano di sport.
Domani poi c’è qualcosa che definire insolito è sbagliato. Una coincidenza unica che mai più si ripeterà. La finale di Wimbledon e quella di Wembley a poche ore di distanza. Berrettini prima. la nazionale italiana poi. Potrebbe essere festa piena ma gli impegni sono difficilissimi.
Nel match che ci riguarda più da vicino, inutile nasconderlo, il favorito d’obbligo è Djokovic. Berrettini dovrebbe giocare la partita perfetta. Gli errori si dovrebbero contare sulle dita di una mano. Mi conforta il fatto che nei quarti del Roland Garros, l’interruzione aiutò Nole che riprese fiato dopo il recupero di Matteo. Vidi Djokovic in difficoltà sotto il martellare dei colpi del romano che scalfirono la sua scorza durissima. L’urlo liberatorio a fine match a dimostrarlo.
Nella finale di calcio temo gli arbitri e l’ambiente che, nonostante il Var, potrebbero condizionare la partita. Per vincere la squadra dovrà saper fare gruppo contro tutto e tutti, un’unica entità per un solo obiettivo: ritornare alla vittoria del Campionato Europeo dopo 53 anni. Sarebbe un’impresa che era impensabile fino a poco tempo fa.
Nelle ultime 24-48 ore gli opinionisti perditempo, sui social e in televisione, che al massimo hanno giocato tre ore di tennis in vita loro trent’anni fa e saprebbero impugnare la racchetta come un’ascia hanno incominciato a dare pareri e consigli.
Di una cosa sono certo. Matteo, al quale pochissimi credevano, ascolterà solo il suo team, che a riflettori spenti ha saputo portare questo ragazzo ad essere una stella mondiale, e soprattutto se stesso e il suo cuore.
Domani tocca a lui. Durante la partita sarà solo con la sua racchetta. La Storia lo aspetta. Che sia un giorno di festa e che se la goda completamente, comunque vada. Non credo proprio che sarà l’ultima.