Sascha Zverev, figlio di tennisti russi, aveva promesso alla Germania, il Paese dove è nato, che gli avrebbe regalato una medaglia magari d’oro ai Giochi Olimpici.
Quando tuttavia nel torneo si iscrive Nole Djokovic volato in Giappone con intenzioni molto serie – vincere per la prima volta le Olimpiadi e chiudere la stagione con il successo a Flushing Meadows giusto per aggiudicarsi, il primo nella storia in campo maschile, il Golden Slam – la faccenda si complica notevolmente, le promesse rischiano di rimanere vane. Sascha ne era perfettamente consapevole.
La prima ora di gioco in semifinale tra Sascha e Nole sembrava mettere in scena la solita storia con il tedesco a provare a rincorrere un atleta scattato dai blocchi di partenza come un centometrista irraggiungibile.
In vantaggio di un set e di un break il gioco di Djokovic improvvisamente si inceppava, poi perdeva smalto e infine finiva dominato da quello del tedesco che improvvisamente sembrava tornato il ventenne che vinse il Foro Italico e l’anno dopo le Finals Atp di Londra proprio battendo all’ultimo atto Nole.
Sconfitto il cannibale, la promessa fatta prima di partire per Tokyo poteva, da sogno, diventare realtà. Bastava sconfiggere Karen Khachanov, il moscovita che fino a tre anni fa sembrava la migliore promessa russa quando ancora Rublev ma soprattutto Medvedev non riuscivano ad ottenere risultati importanti.
A Karen dopo il successo a Parigi-Bercy nel 2018 sembrò spegnersi la luce mentre i suoi amici coetanei incominciavano a vincere tornei importanti. Sconfitte, tante sconfitte ai primi turni contro avversari non irresistibili e soprattutto un’incapacità a migliorarsi tecnicamente e qualche limite di mentalità avevano bloccato la crescita tennistica di Karen.
A luglio il moscovita è tornato a far parlare di sé: quarti di finale a Wimbledon persi per un soffio contro Shapovalov. Si è preso qualche giorno di riposo e si è presentato alle Olimpiadi tirato a lucido. Ha lottato per sconfiggere giocatori come Schwartzman e Humbert e ha fatto una partita perfetta contro Carreño, ma nel match di finale contro Sascha non è riuscito ad opporsi.
Doppio break subito nel primo set, al terzo e al nono gioco, e un assolo del giocatore di Amburgo che ha lasciato un solo game nel secondo quando i giochi erano ormai già fatti.
Il tedesco è un bell’enigma perché ogni volta che ne tesso le lodi finisco quasi sempre per illudermi che i suoi problemi siano dietro le spalle. Mi limito a dire che ha meritato di vincere le Olimpiadi. Ha perso solo il primo set nel match contro Nole.
Dal punto di vista tecnico ha giocato un gran diritto a chiudere, ha migliorato la seconda, è parso più sicuro a rete e si è mosso con molta sicurezza in campo dimostrando una grande velocità di piedi e ottimo timing.
La prova del nove l’avremo fra un mese quando si giocherà a New York il quarto Slam del 2021 dove difende, per fare meglio, una finale già quasi vinta l’anno scorso contro Thiem.
Su Sascha si è già scritto e detto moltissimo, da quando sembrava il predestinato a succedere ai big four a quando si diceva che la sua carriera sarebbe terminata senza i risultati che gli addetti ai lavori gli pronosticavano.
Rimane il fatto che tra i giocatori della sua generazione finora nessuno ha fatto meglio di lui: 1 Atp Finals, 4 Masters 1000, finale a Flushing Meadows e oggi le Olimpiadi. Deve saper dimostrare di vincere tornei Slam e soprattutto perdere quel carattere di umoralità che ancora lo contraddistingue. Il tempo è dalla sua parte.
Zverev-Khachanov 6-3 6-1 Medaglia d’oro
Carreño Busta- Djokovic 6-4 66-7 6-3 Medaglia di bronzo