Quando la notizia della morte arriva all’improvviso fa male, disorienta anche se sai che sono anni che quella persona è malata. Chi era ragazzo negli anni ’80, e non solo ovviamente, non può non aver avuto un sussulto al cuore alla notizia della scomparsa di Giampiero Galeazzi.
Lo ricordiamo accompagnare le vittorie olimpiche degli Abbagnale, in quello che è stato il suo primo sport. In questa disciplina partecipò alle selezioni per le Olimpiadi di Città del Messico.
Non ce lo siamo certo dimenticato quando festeggiò negli spogliatoi il primo scudetto del Napoli insieme a Maradona, nelle mitiche interviste a fine partita quando dava voce ai protagonisti e lui sapeva fare un passo indietro. Era scanzonato, ma serio, professionale e competente.
Lo era anche nel tennis, sport che amava particolarmente. Ci ha lasciato un libro nel quale racconta la storia del nostro sport attraverso i circoli storici. Non possiamo dimenticare le sue telecronache appassionate, quasi di parte, quando a giocare erano i nostri o Boris Becker, ma sempre rispettoso dell’avversario sia nella sconfitta come nella vittoria.
Era capace di esaltarsi soprattutto quando l’Italia giocava in Coppa Davis. In quelle occasioni sapeva dare il meglio di sé. Come a Cagliari quando in Italia-Svezia Paolo Canè, con il suo turbo rovescio, annichilì Wilander. Centinaia le sue telecronache che sapeva accompagnare con sospiri quasi ansimanti, incitamenti da tifoso, pause nell’attesa che il punto finisse. Conosceva i tempi del tennis, i suoi ritmi e le scaramanzie dei tennisti.
Giampiero ha sdoganato un nuovo modo di raccontare il tennis e lo sport in generale. Non più stereotipato, anche urlato ma sempre festoso. Sapeva fin dove poteva spingersi, quello che poteva domandare, non superava mai la soglia dell’inaccessibile. Insomma aveva talento e in un mondo d’improvvisati il suo esempio svetta per capacità e maestria.
Grazie Giampiero per tutto quello che hai saputo raccontarci e per le emozioni che ci hai donato.