Il britannico a ventisei anni vince il 1° Masters 1000 della carriera dopo una stagione giocata ad alti livelli.
Ad inizio stagione, a chi gli chiedeva quale fosse il giocatore sul quale puntare per il 2021 lui rispondeva Cameron Norrie. Non sappiamo se lo diceva per scaramanzia o perché ci credesse per davvero. Un anno dopo non possiamo dire che le sue previsioni fossero sbagliate. Certo, non è stato l’unico a fare un bel salto in classifica, ma onestamente non credo fossero in molti a credere che potesse salire cosi in alto nel Ranking Atp.
Dal 2018 al 2020 aveva dimostrato di saperci fare anche se la classifica non sempre l’aveva premiato. Oscillava in quel limbo, tra il 50° e il 90° posto, nel quale un player non può ancora definirsi arrivato. Anche se era in grado di giocare, qualche volta passando dalle qualificazioni, tutti i tornei maggiori, non aveva fatto quel salto di qualità in termini di risultati e classifica che lo poneva nel gotha del tennis mondiale.
Oggi quel balzo l’ha fatto e la vittoria a Indian Wells arrivata dopo una stagione brillante certifica che deve essere ormai considerato un osso duro per quasi tutti. Il britannico è un giocatore eclettico perché con il servizio mancino a uscire, l’ottimo timing di rovescio e rotazioni cariche di top spin di diritto, buon posizionamento a rete, ha dimostrato di saper giocare bene su tutti i tipi di campo.
Quest’anno ha raggiunto finale su ogni superficie. Sull’erba del Queen’s contro Berrettini, sulla terra battuta di Lione ed Estoril, ha espresso forse il miglior tennis sul veloce. Ha raggiunto il successo a Los Cabos, ha fatto finale a San Diego, ma soprattutto ha vinto il torneo di Indian Wells posticipato a ottobre a causa della pandemia. Tra palme e deserto ha dato il meglio di sé. Qualcuno potrebbe dire che i più bravi non si sono espressi al meglio – Medvedev (1) è stato fermato da Dimitrov, Tsitsipas (2) da Basilashvili, Zverev (3) da Fritz, Rublev (4) da Paul – ma della caduta delle stelle, Djokovic era assente, non possiamo fargliene certamente una colpa.
Lui ha fatto del suo meglio, anzi possiamo certamente dire che le sue prestazioni sono salite di livello con il passare dei giorni. Ha impiegato tre set per battere Sandgren, Bautista e Paul, ma una volta arrivato ai quarti ha giocato senza più sbagliare un colpo. Ha lasciato due game a Schwartzman, sei a Dimitrov e il primo set in finale a Basilashvili, ma quando il georgiano non è più riuscito a tirare continui vincenti, Cameron gli ha prima preso le misure nel secondo set e ha chiuso in modo perentorio nel terzo.
Strana vita la sua, classico esempio di un giocatore che non è diventato un campione in età scolare. In quella ha preferito viaggiare, prima insieme ai genitori poi da solo, e studiare. Cameron è un cittadino del mondo. Nato a Johannesburg da madre gallese e padre scozzese, cresciuto ad Auckland, ha studiato sociologia alla Texas Christian University presso Fort Worth, incominciando a fare sul serio solo quando ha rischiato di essere cacciato dall’Università.
Non bastava saper giocare bene a tennis, bisognava studiare e seguire delle regole e lui spesso non lo faceva. Un incidente con il motorino da ubriaco gli fece capire che doveva cambiare vita, che doveva porsi degli obiettivi e saperli raggiungere. Da quel giorno di diversi anni fa ha fatto passi da gigante e ora è pronto, ci assicura, per entrare nella top ten. Vedremo se saprà mantenere anche questa promessa.