Gli US Open giocati a Flushing Meadows dal 1978 furono, per i primi sette anni, una questione contesa da Connors e McEnroe: tre edizioni a Jimbo e quattro a Supermac.
Dalla seconda metà degli anni ’80 i giocatori europei ne fecero un fatto personale. Lendl vinse le edizioni dall’85 all’87, poi fu la volta di Wilander nell’anno del suo massimo splendore tennistico e di Becker a due mesi di distanza dal suo terzo successo a Wimbledon.
Gli anni ’90 videro la conferma di alcuni, ma nuovi protagonisti irruppero sulla scena diventando idoli acclamatissimi delle giovani folle tennistiche di tutto il mondo.
Alla prima edizione del nuovo decennio arrivarono in finale Pete Sampras e Andre Agassi capaci di caratterizzare con i loro successi gli anni a seguire.
Il diciannovenne di Potomac e il ventenne di Las Vegas s’incrociarono per la prima delle tre finali Slam a New York che vide sempre il giocatore di origini greche sconfiggere abbastanza nettamente il pupillo di Bollettieri.
Le loro sfide, duelli appassionati nella contrapposizione degli stili di gioco e di carattere, hanno diviso il popolo dei tifosi per oltre un decennio.
Erano spettacoli inimitabili. Pete giocava i colpi classici del tennis moderno con una potenza e fluidità di movimento mai riuscita a nessuno prima di lui: servizi vincenti a ripetizione, dritti “assassini” e volée tra le migliori di sempre per esecuzione e velocità.
Andre era capace di giocare un tennis inimitabile: colpiva la palla sempre in avanzamento a velocità esasperate e con aperture di angoli da posizioni del campo che parevano inimmaginabili prima di lui.
Dalle loro prime apparizioni sui teleschermi di tutto il mondo i caratteri apparvero subito molto diversi: estroverso fino all’esibizionismo con look da rock star Andre; timido, quasi impacciato fino a sembrare certe volte svogliato Pete, che nei suoi momenti d’oro pareva quasi imbattibile.
Nel 1990 la vittoria di Pete, n°12 del seeding, stupì per il modo in cui riuscì a battere avversari in quel momento molto più quotati di lui.
Si fece recuperare nei quarti di finale due set da Lendl e poi dominò il quinto. Sconfisse McEnroe in semifinale, non più quello dei primi anni’80 ma che giocò con Pete una delle più belle partite di fine carriera caratterizzata da pregevoli soluzioni a rete.
Anche Andre n°4 del seeding e finalista pochi mesi prima al Roland Garros contro l’ecuadoriano Gomez non era stato certo a guardare. Korda, Davin, Cerkasov e soprattutto Becker al quale rimontò il primo set perso al tie-break gli avversari principali tra lui e la finale, nella quale Pete dominò.
Fu il servizio potente e preciso, come spesso gli capiterà nel corso della carriera, a far la differenza con Agassi al quale non bastarono i colpi veloci e a uscire che il Kid di Las Vegas riuscì a giocare.
Pete si mostrò, nonostante la giovanissima età, troppo continuo e regolare.
Eravamo agli albori di una nuova era del tennis. Dopo di loro per gli statunitensi, se si esclude la brevissima parentesi di Roddik, un nuovo lucente mattino sembra ancora abbastanza lontano.