Nel febbraio del 2022 Jannik Sinner ha avuto il coraggio, forse ascoltando qualcuno più esperto di lui, di rinunciare alla calda coperta di Linus rappresentata da Riccardo Piatti, uno dei tecnici più prestigiosi che ci sono in Italia. L’ha fatto quando nessuno se lo aspettava, da top ten e nel momento che aveva raggiunto i quarti di finale all’Australian Open.
Quella sconfitta pur prevedibile perché arrivata da un player che in quel momento giocava meglio di lui, gli aveva lasciato l’amaro in bocca e forse la paura, secondo me infondata, che la sua crescita rischiasse di fermarsi e che non ci sarebbero mai stati piani B e C per affrontare i migliori.
Momenti difficili da vivere, scelte complesse da prendere perché da una parte c’era la riconoscenza infinita verso il tecnico che l’aveva strappato allo sci e lo aveva portato a competere con i migliori facendolo diventare una star della quale il mondo del tennis parlava come del giocatore predestinato, dall’altra una strana consapevolezza di non giungere mai o forse troppo tardi, quando qualcuno aveva già bussato e magari buttato giù la porta. C’era Alcaraz allenato dall’ex numero 1 mondiale Ferrero che stava spingendo e si era capito che faceva sul serio, il rischio di farsi superare, come poi è successo, poteva essere imminente.
La ricerca di un nuovo allenatore non è mai semplice perché implica diverse problematiche che non sono solo tecniche ma prima di tutto umane. Bisogna stare bene insieme, capirsi, ma anche aggiungere nuovi colpi e magari una concezione diversa del tennis, intraprendere un nuovo cammino che inizialmente non è mai facile.
La scelta è caduta su Simone Vagnozzi, il trainer che aveva portato nel 2018 Cecchinato alla semifinale del Roland Garros, al quale si è aggiunto Darren Cahill, tecnico australiano di provata esperienza internazionale con risultati di primo piano con giocatori come Hewitt, Agassi, Murray e Halep.
Ci aspettavamo la bacchetta magica e più di qualcuno fino a pochi mesi fa aveva iniziato a storcere il naso perché i progressi sembravano lenti e con i migliori arrivavano spesso sconfitte. Gli unici a credere veramente al lavoro intrapreso erano Sinner e il suo gruppo ma lo dicevano sottovoce, credo più per pudore che per il sospetto di aver sbagliato.
Quest’anno il fiore è sbocciato. Non lo testimoniano solo le vittorie di Pechino, Vienna e Toronto ma anche la finale raggiunta a Miami e la semifinale di Wimbledon. Ora il futuro è difficile da decifrare perché gli avversari non mancano e le difficoltà ci possono essere sempre, anche quando la strada sembra in discesa.
Di sicuro sappiamo che Jannik ha compiuto diversi step dal punto di vista tecnico, fisico e mentale. E’ ancora più resiliente, dote che ha sempre avuto ma che oggi appare in modo ancora più evidente. Dove arriverà sembra inutile prevederlo perché con certezza non lo sa nessuno, in fondo nemmeno lui.
La voglia matta è diventare il numero 1 che non è presunzione ma consapevolezza. Non so quanto sia ancora lunga la strada e quante buche troverà sul cammino ma ora che è tracciata non è più tempo di guardare indietro.